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Recensione - Opening Night Scratch # 1 – preludi notturni in danza e poesia

 

“Scarabocchi graffianti per riscrivere gli spazi” di Carmelita Celi – La Sicilia - 14 Aprile 2015

 

La morte si sconta vivendo.

C’è una messe di parola poetica e poesia mimetica negli scarabocchi graffianti o graffi scarabocchiati di “Opening night scratch # 1 di Emma Scialfa e Claudio Fausti al Centro Zo per “Altre Scene”

Ma di tutto e di tutti – “guru” imperdibili come Ginsberg; Pound, Brèton – quel verso di Ungaretti immensamente illumina e da solo sembra essere il sottotitolo benedetto, il manifesto ribaldo e dolente di una “composizione” spettacolare e assai convincente che promette (che di serata d’apertura” dice il titolo) d’essere tappa d’un percorso già fortemente catturante.

Emma Scialfa – tersi corea speciale ancor prima che coreografa, interprete indimenticabile e guizzante il cui merito non va certo attribuito alla decennale militanza nella compagnia di Micha Van Hoecke giacché lei era meteorite danzante “a prescindere” diceva in Totò – ebbene lei torna in scena anche se danzatrice ma lo fa con soluzioni particolari ed estremamente, sensibilmente intelligenti. Con la necessaria, visibile complicità di Claudio Fausti (video, sound, concept) e danzatori di robusta tecnica e magnifico impatto ( Gloria Pergalani, Alessandro Caruso).

“Opening Night scratch#1 è ricerca sfrontata nell’enciclopedia umana del dolore. E con spirito apolide – dall’Italia alle Americhe, da Cesare Pavese a Roberto Bolano passando per Kerouac e Nicanor Parra (il formidabile “antipoeta” cileno, fratello della celebre Violeta) di “El hombre immaginario”. E con la decisione risoluta di scavare nel letto del “long fleuve” dell’esistenza in due parole, è coabitazione artistica di movimento, parola, suono benché l’uno non “illustri” l’atro e niente sia didascalia di niente.

Dinanzi ad una platea volutamente “ridotta” ad un fazzoletto rettangolare e a sinistra, abitata da un vero bar con una vera “bar attender” con tanto di tavolini e sedie di vario genere - la scena è in odore di club “poetry ‘n jazz” anni ’50 animati da Lawrence Ferlinghetti e Gregory Corso e Ginsberg, naturalmente, che per l’appunto di questo “Scratch” è voce imperdibile con strepitoso “Who be kind to” (e i versi appassionatamente irriverenti che rivendicano “l’orgia della nostra carne, l’orgia della nostra anima, l’orgia di tenerezza”) infatti, “in ordine di diffusione” ecco le voci dei poeti che “dicono” se stessi: sarà Ungaretti per “Fiumi” ma anche per “sono una creatura”, André Bréton per “l’Union libre” e Pasolini si fa ambasciatore di Ezra Pound per “Strappa da te la vanità”.

La sinfonia poetica ha crescendo e diminuendo “d’in-canto” mentre i danzatori accendono pas de deux “liquidi” e spesso afflitti dal “nostos” di una comunicazione interrotta. Ora restano “protetti” dallo schermo che ne riconsegna l’anima di burattini elastici, ora vengono allo scoperto, in proscenio, con parole e versi che, in proiezione, scrivono letteralmente sui loro corpi.

Eppoi, “Ma femme au sexe d’algues et de bonbons anciens”.

E’ sul canto surrealista bretoniano che Emma Scialfa, su due stampelle incede in scena silenziosamente assisa su una sedia, fa “toilette” del gesto, rinomina lo spazio, ne diventa padrona (pre) potente, ma solo con braccia e volto, busto, dalla cintola in giù, è la danzatrice a “doppiarla” sullo schermo. E, navigata sapienza d’interprete, lei riesce a fare di una temporanea indisposizione (la gamba destra è ingabbiata in un tutore) “ stranezza” poetica.

Impossibile escribir poemas, confessa lo schermo. Perciò, forse, fermando il pick-up di un Lesaphone d’antan, la danzatrice ne arresta anche l’inconfondibile sfrigolio di disco consumato, quasi una vita in sedicesimo, che è suono unico di memoria pulsante e ingombrante.

 

 

 

Recensione – Al Centro Zo le “Grandi speranze” della danza - da Sicilia e donna - 18 mag 2014 di Angela Marina Strano  

 

La danza ha da sempre affascinato sia bambini che adulti. Corpi leggeri, scolpiti, asciutti che si muovono a ritmo di musica, palchi importanti da calcare, viaggi intorno al mondo, applausi scroscianti e, perché no, una buona retribuzione, sono nell’immaginario collettivo le peculiarità che contraddistinguono la professione del danzatore. Ma non è sempre così. “Grandi speranze”, lo spettacolo andato in scena al Centro Zo di Catania per la rassegna Performing Art, ha mostrato al pubblico i sacrifici e le difficoltà che incontrano al giorno d’oggi coloro che si dedicano alla danza. La pay  perview performance ideata e coreografata da Emma Scialfa, ha avuto come protagonisti gli artisti della compagnia Motomimetico, avvalendosi della collaborazione di Orazio Alba. Il corpo di ballo, spento e immobile nella scena d’apertura, si sveglia solo quando il pubblico paga la performance che desidera guardare. Agli spettatori sono offerti tre “Menù” composti da svariate azioni teatrali, gesti coreografici e immagini. Come nel meccanismo del jukebox, nel quale bisognava introdurre la moneta per ascoltare la canzone, gli spettatori sceglieranno cosa vedere. Una piccola provocazione ironica, che ha voluto sensibilizzare lo spettatore sulla condizione in cui vivono i professionisti della danza di questi tempi. Il pubblico è al centro della storia, incrementa la grande speranza degli artisti di continuare a ballare ed essere riconosciuti come lavoratori. Infatti, finite le risorse economiche dei genitori o delle borse di studio, ai ballerini spesso non resta che trovare un secondo lavoro per mantenere la loro professione principale alla quale tolgono così tempo e forze. Ed ecco comparire sul palco danzatori in grembiule, con guanti e spugnetta, che lavano col sapone le stoviglie, danzatori affannati, veloci, sudati, che si muovono da una parte all’altra del palco. Il disorientamento iniziale dello spettatore, diventa riflessione, partecipazione e divertimento nel momento in cui i professionisti si presentano in mutande, o quando vengono trattati con indifferenza e derisione durante i provini, o ancora quando affamati divorano in modo bulimico lo scarso cibo che gli permetta di mantenere i loro corpi tonici e affusolati. Il più delle volte sono sfruttati, ottengono prestazioni occasionali e scarsi compensi. La loro è una lotta, ma vogliono continuare a fare ciò che amano: danzare. Il ballo è dentro di loro sempre. In “Grandi speranze” c’è l’urgenza di condividere col pubblico il difficile ma ineguagliabile cammino dell’arte della danza. Ci sono fantasie, sentimenti, illusioni, ragionamento e divertimento. I coreuti si lasciano trasportare dalla loro vocazione, mettendoci amore e passione. Persistono nella danza e, nonostante tutto, continuano a danzare. La danza è un moto dell’anima che coinvolge tutto il corpo con sensazioni di dolore e piacere. I ballerini raccontano col corpo un desiderio, una vertigine, una passione che coinvolge i sensi. Non può essere considerata una moda o una tendenza, ma la parte più profonda di noi stessi che ci ricongiunge con quello che siamo.

 

 

 

I MONOLOGHI DELLA DARBOKA

Rizzo ardito funambolo del ritmo - Al Piccolo Teatro la performance del percussionista ne «I monologhi della darboka» prodotto da Emma Scialfa - CARMELITA CELI – La Sicilia - 25 Marzo 2013

 

Sublimi rumori fuori scena. Mano contro mano come fanno i “cantaores” del flamenco battendo «las pal- mas» intorno al tablao solo che lui è due volte più sonoro, più incalzante, più orchestrale. Una manciata di secondi ed è in scena, tutto intero, e si percuote, tutto intero: da capo a piedi (finanche le tasche cariche di spiccioli), con le mani e con i piedi, a tratti sembra Pinocchio in marcia. In realtà lui non è lì per lui ma per lei, la fedele darboka, membranofono tanto amato dai nostri cugini nordafricani che l’attende paziente e sottomessa, accoccolata ai piedi d’uno sgabello, al centro della scena. Ma lui è lì anche per lui, il Ritmo, perché Giorgio Rizzo «natural born percussionist», percussionista nato, musicista e mattatore arguto e realmente dotato è un “tossico” del ritmo. E reo confesso: «Lo so, lo so, lo capisco, sono qui apposta per dirlo: io so- no affetto da dipendenza da ritmo». L’idea e lo spettacolo di Giorgio Rizzo, «I monologhi della darboka», nei giorni scorsi al Piccolo Teatro su proposta e produzione di MotoMimetico della danzatrice, coreografa Emma Scialfa, non è solo esaltante come ogni vera performance d’un vero solista deve e sa essere, ma scopre intelligenza ed originalità sorprendenti, governate da un senso della misura ed una saggezza istrionica non comuni. «I monologhi della darboka» benché la poveretta, in realtà, non parli affatto se non quando le mani fatate di Rizzo ne accendono i toni e ne toccano tutti i tasti possibili. Senza contare, poi, che di monologo ce n’è uno solo, l’unico brillante, esilarante sfogo di Giorgio che della sua ossessione fa una selva sonora tuttaltro che oscura, aspra e folle, forse, ma irrimediabilmente ubriacante. Incomincia con un piglio dimesso e sconfortato quasi alla Woody Allen ma con la stessa, fascinosa (e apparente!) timidezza finisce per travolgerti in un’irresistibile logica maniacale in tutto è ritmo. Dal cosmico al supermercato. «Scelgo le cose perché hanno un suono che mi piace. Odio i borlotti però che suono! E il carrello! Non sono nevrotico! », dice indovinando l’iniziale sgomento di chi l’ascolta. «Io sto SUONANDO! ». Per fortuna. E con un talento infinito e indiscutibile che gli conoscevamo per altre guizzanti invenzioni «S (u) ono-corpo», con Emma Scialfa, resta un miracolo scenico e che è in grado di sostenere anche la piena, non facile solitudine dell’one man show. Ritmo come mistica e ascesi, ritmo in cielo, in terra e in ogni luogo: davanti ai tasti del computer in ufficio o «dentro» allo stetoscopio sottratto al solito amico cardiologo. Ed è ritmo ansioso e ansiogeno nel dialogo immaginario con i «toni bassi» in cui Giorgio Rizzo riesce ad essere ardito, stupefacente funambolo della parola alla Bergonzoni. E in palinsesto anche un «Quark» (canticchiare l’Aria sulla IV corda è d’obbligo) per l’ipotetica puntata sui “mongoloidi” prima di regalare formidabili assoli con la sua unica partner: paffuta ma con un invidiabile girovita, la darboka gli si concede fino al bis, generoso, a cui l’uditorio non lesina applausi, feste e chiamate a ripetizione.

 

 

«Romances Frames» violenti momenti d’incontro/scontro - Carmelita Celi - La Sicilia 3/12/2012

 

Se non è vero – non lo è stato in termini storici, almeno – che il cinema sonoro non soppianterà mai il cinema muto, come tuonava o forse solo si auspicava Edison, è verissimo che la “muta” danza può e sa essere cinema eloquente e compromettente. E benché non sia Musa di Poesia, anche Tersicore genera

frammenti di un discorso amoroso in danza passando per un cinema invisibile.

Emma Scialfa, coreografa ma già danzatrice di strepitoso talento, preferisce chiamarli fotogrammi d’una storia d’amore, «Romance frames», lo spettacolo di danza, musica e parola filmica studiato con Claudio Fausti, videomaker, nei giorni scorsi a Scenario Pubblico. Nell’agone, due «danzattrici» – Simona Fichera,

Giuliana Cocuzza – ed un «danzattore», Alessandro Caruso, interessanti per piglio espressivo, convincenti sul piano d’una poliedrica preparazione tecnica e che promettono di mantenere viva la lezione della loro guida artistica, la Scialfa, che speriamo sempre possa prima o poi decidere di tornare a ballare.

Dunque il cinema raccontato dalla danza. O magari «tradotto», riecheggiato, rievocato, (s) travolto da azioni sceniche che, alla lunga, paiono imboccare “altri” drammi, rinunciando così ad una mera illustrazione di fotogrammi. Che, ironia della sorte, sono proprio quelli che mancano in «Romance frames» negando arditamente la natura primigenia del racconto per immagini. Dalle altalene vuote dell’apertura, ancora sinistramente dondolanti (quasi un’ipotetica sequenza horror in odore di «Mostro di Dusseldorf» di Lang) prenderanno le mosse, nell’accezione più vera del termine, centinaia di parole filmate ma qui fissate

dall’incantamento del «solo» ascolto. Dall’urlo felliniano di «Voglio una donna» (pronunciato dal«danzattore») a frammenti di Mastroianni e Maria Schell in “Notti bianche” e persino scampoli d’un

notiziario messicano che annuncia la morte di Frida Kahlo.

E’ sempre rigorosamente cinema che non si vede ma che pure è visibilissimo: in ogni rancoroso, sinuoso pas-de-deux o nei non pochi, violenti momenti corali d’incontro/scontro fino all’ultima sequenza danzata su un dialogo «soft porno» tra lei e lui. Ma per beffa e per contraddizione la danza fa vedere un’intesa tuttaltro che spirituale tra le due donne confinando l’unico maschio ad un’operazione a metà tra voyeurismo e onanismo.

Sogno ma forse no perché, come ammoniva Godard, se la tv crea l’oblio, il cinema ha sempre creato dei…ricordi.

 

 

ROMANCE FRAMES. Frammenti del corpo e dell'anima sulla scena al Teatro Piscator - Stefania Castorina - Catania 27/06/2012

L’Arte senza censure. La danza del corpo come espressione di un sentimento tanto romanticamente idealizzato quanto materialmente e fisicamente prorompente: l’Amore, frammentato, spezzato, ricomposto, rimescolato attraverso i tratti di personaggi diversi estrapolati dalle pellicole come pezzi di anima e riempiti del movimento danzato. La citazione cinematografica, sapientemente costruita da Claudio Fausti, si materializza sulla scena come voce intrecciata alla musica in un dialogo ininterrotto tra film e movimento del corpo. Dialogo che viene magnificamente diretto da Emma Scialfa e abilmente interpretato da un trio affiatato di danzatori formato da Alessandro Caruso, Simona Fichera e Silvia Filippi.

La scenografia e i costumi sono essenziali ed efficaci. Tre altalene quali oscillazione materiale tra realtà e desiderio diventano un fragile sostegno per il corpo che è ‘corpo’ nel contatto con se stesso e con l’altro, per un movimento che esprime le fantasie, le paure, i pudori e la sfrontatezza di una psiche misteriosa e incombente. Un corpo che si fa presenza reale sulla scena e manifesta senza ipocrisia la propria fisicità e la propria essenza erotica. Un corpo che si compiace o che rifiuta se stesso, che si mostra o che si nasconde, ma che in ogni caso cerca l’altro nella perpetua alternanza tra incontri e scontri, tra dolore e amore. Può trattarsi di un soldato o di una bambina, di un’aristocratica amante o di una moglie tradita... I personaggi si mescolano, si vestono, si svestono, si trasformano... finché si ritrovano in un lampo tra la luce e il buio: forse svegli...? forse soli...? Forse soltanto ridestatisi dal delirio amoroso che li ha sconvolti...?

Al suo debutto nazionale al Teatro Piscator di Catania lo scorso 31 maggio, Romance Frames non solo convince per la qualità della sua danza, per l’originale costruzione delle coreografie, per la precisione nell’esecuzione, per la colta citazione filmica, ma conferma la compagnia MotoMimetico, che ha nel suo repertorio altre notevoli performances come Bolero e Sulla Passione,  una delle punte più alte della danza contemporanea in Sicilia e in Italia grazie all’elevato spessore culturale, all’originalità delle scelte artistiche e alla capacità della Scialfa di affondare come sempre la lama delle proprie pieces nella parte del corpo che è più sensibile all’arte, ovvero l’anima.

 

 

SULLA PASSIONE - Carmelo Antonio Zapparata - Arte e Arti 21/04/2012

 

Sulla Passione, lavoro del 2009 - già vincitore a Siena del concorso Lungo la via Francigena, un viaggio del corpo e dell'anima – rintraccia, invece, nelle processioni tipiche della Settimana Santa e delle festività padronali siciliane le ambiguità del ‘sistema di valori’ imperante nell’isola.
Eseguito da un ensemble di sei giovani interpreti, lo spettacolo firmato Scialfa/Romeo rimanda nella sua tessitura ad alcuni stilemi presenti nell’espressionismo di Kurt Jooss, specialmente per la forte valenza satirica.
La processione di un Santo Barbuto – forse il ‘Santo Barbaro’ di cui parlava Schiller nelle sue poesie - portato a spalla dai fedeli fa da preludio ad un grande affresco in movimento in cui raffigurare la piazza del paese in festa. Il machismo di ipotetici animatori di confraternite fa da pendant ai movimenti marionettistici e spezzati di effigi sacre colte nell’atto di fumare lunghi sigari, mentre si accarezzano le altrettanto lunghe barbe. Tratteggiando in maniera ironica e bonaria l’ipocrisia di molti riti religiosi, Sulla Passione accoglie marce e i motivi del repertorio bandistico meridionale quale propria colonna sonora. Nel tessuto coreografico il rapporto singolo/gruppo appare sapientemente variato nel tentativo di rendere scenicamente quell’‘occhio sociale’ così influente sui comportamenti.

 

Il BOLERO «oltre» di Emma Scialfa Teatro Piscator – Catania - Carmelita Celi – La Sicilia 17/01/2011

La coreografa reinterpreta un «mostro» della danza contemporanea
“(…)Accogliere, amare e sopportare il peso di "Bolero" di Ravel è oggi, dopo il titanico colpo di mano e di teatro di Maurice Béjart, nel 1961 (con il "Sacre", fu una sorta di benefico "11 settembre" della danza e dell'arte, niente sarebbe stato più come prima) è un'impresa altrettanto titanica. Perciò ci prova Emma Scialfa - strepitosa danzatrice e "danzattrice" prima che coreografa, talento forse mai abbastanza (ri)conosciuto e, perché no, schiavizzato dai maitre-à-penser del contemporaneo - che di Prometeo ha quasi la stessa "hybris". E nel suo "Bolero" (che ha inaugurato, al Piscator, la stagione "Nuovi Movimenti") di cui firma coreografia e luci, affidando la parte tersicorea a Erika Cassarino, Giuliana Cocuzza, Alessandra Contarino - la Scialfa rilegge e riscrive quel pezzo di memoria storica quasi negando la danza. O almeno il ruolo primario ch'essa ebbe, all'epoca“(…)
“(…)Emma ricorda "Bolero". Lo ricorda perché ne "riporta al cuore" la cellula ritmica e, andando oltre la danza, accetta di sottomettersi al mitico "ostinato" delle 169 volte, antenato del "loop" che pure è presente nel caleidoscopio strumentale del Trio Aptal. Sposando la follia di quella creazione geniale che andava oltre la musica («Il mio capolavoro? Ma "Bolero", andiamo! Purtroppo è privo di musica», diceva sardonico lo stesso Ravel), la Scialfa accetta di andare oltre la danza, affidando la vera "coreografia" all'altissimo artigianato musicale degli esecutori, a loro il climax emozionale ed emozionante, drammatico e drammaturgico che siamo avvezzi a vedere in solista e compagnia di "Bolero".


S(U)ONO CORPO - Carmelita Celi – La Sicilia 1/11/2005

 

“(…)Quante suggestioni in ballo nei cinquanta strepitosi minuti dell’ultima creazione di Emma Scialfa, danzatrice, coreografa e “capocomico” di “MotoMimetico”. Ma mai abbastanza per spiegare “tempesta e assalto” di “s(u)ono corpo” in cui i suoni del corpo ed il movimento dei suoni non si compongono solo in “progetto” (spesso sinonimo di creazione algida in cui l’ultima danza contemporanea indulge e s’incarta) ma si fondono anche e soprattutto in uno “spettacolo” che è talento, pensiero, rappresentazione (…) L’idea, dunque, è che il corpo è luogo sensibile. Sicché non solo camera di risonanza ma strumento. Strumenti, anzi, di una famiglia prolifica come quella delle percussioni. E’ la drammaturgia di “Suono corpo” e si fonda sul lasciarsi credibilmente, materialmente, artisticamente, orchestralmente “suonare” dall’alluce alla fronte”

 

 

Italo Interesse – Quotidiano Bari 9/10/2007

 

“Il corpo umano possiede una suscettibilità di suono che è tutta da esplorare. La voce, il respiro e il palpito sono le espressioni più comuni di questa potenzialità. Poi vengono il battere le mani, il rumore dei passi, il frusciare delle dita fra i capelli (…) Esistono modi diversi di massaggiare. Uno di questi prevede che il corpo venga leggermente schiaffeggiato. Ne consegue una serie di suoni diversi in ragione delle aree coinvolte, della consistenza delle stesse e del modo di percuoterle. Se questo coacervo di rumori viene razionalizzato, nel senso che diviene motivo di ricerca, può evolvere in musica (…) E’ una sinfonia per corpo (…)”

 

 

CAMERA DEL SONNO - Carmelita Celi - La Sicilia 27/12/2004

 

“(…) Danza ero video. Se danzare è vedere, il matrimonio tra Tersicore e la Televisione è ormai cosa pensata, provata, rodata e in taluni casi persino datata. Nuova, semmai, è l’elaborazione dell’incubo da parte della”danzattrice” Emma Scialfa, che in questa sede “la camera” di Maria Arena, con interventi straordinariamente saggi e misurati, non illustra ma stimola, anticipa, conclude. Quasi uno spettacolo “a numeri”, tanti quante sono le ossessioni sognate, sopite e risvegliate, piccolo “atti” ricompattati in una drammaturgia coerente di poco meno di un’ora, agile e fissa a un tempo. “Camera del sonno” e video sono un a cosa sola (…)”

 

 

INTERVISTA A EMMA SCIALFA - Carmelita Celi – La Sicilia 13/04/2004

 

“E’ un corpo che pensa. O forse una mente che balla. In due parole è Emma Scialfa (…) impavida, inquieta, incontentabile direttrice d’arte di Majazé, nel cuore della <<Catania di zolfo>>, un tempo magazzino d’arance, oggi spazio scenico di teatrodanza, teatro, danza, luogo di didattica e d’intrattenimento, nonché sua creatura (…)”

 

 

LA MUTA - Virginia Cacchi - La Sicilia 6/04/2004

 

“(…) Partendo dalla novella “La sirena” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa - letta con espressività asciutta ed esemplare da Piero Sammataro - “La Muta” si snoda e si svela lentamente quale suggestiva operazione di teatro-danza. Nella prima parte dell’originale performance, l’evocatività della parola crea, in effetti, un’atmosfera magica non meno delle magnetiche presenze di Scialfa e di Pagano (…)”

 

 

 4 CAMINOS - Carmelita Celi – La Sicilia 04/05/2003

 

“(…) solitudine di massa, rumorosa e muta, invasiva e indifferente. Sono quattro <<camminamenti>> dall’apparire all’essere, dal sacro al profano andata e ritorno ma sono soprattutto <<viaggi>> mai consumati, beckettiane attese all’infinito in una tempesta di vizi privati e pubbliche virtù”.

“(…) Un assolo, beffardo e inchiodante di Emma Scialfa, una sorta di svitata, nevrotica donna Charlot. Alla fine, ricomposte e “nude”, vestite cioè da un unico gesto rituale, le “caminanti” si consegnano ad occhi chiusi alla platea che le affonda di applausi”.